Vi sono molte situazioni in cui è necessario risolvere il sintomo del prolasso mucoso o del sanguinamento emorroidario, comunemente definite le emorroidi, ma sovente non è ancora ora di ricorrere ad un intervento chirurgico tradizionale: un buon sistema che permette l’eliminazione del tessuto in eccesso consiste nel trattamento tramite le legature elastiche.
In una grande quantità di casi, ci si trova di fronte ad un quadro intermedio, in cui la terapia medica non è più sufficiente a tenere a bada i sintomi, oppure lo fa per un limitato periodo di tempo. La situazione più frequente è quella in cui il sanguinamento alla defecazione si ripresenta alla sospensione del trattamento medico, sia come ematochezia (tracce di sangue sulla carta dopo la defecazione), sia come vera e propria rettorragia (sanguinamento anche abbondante, tale da macchiare la tazza).
Ancora, in certi casi il prolasso si manifesta con la continua perdita di secrezione a livello anale, con conseguente macerazione della cute perianale, che diventa fragile ed irritata, con persistente prurito e sensazione di “ano umido”.
Leggi tutto: Emorroidi: la legatura elastica. Una alternativa dal chirurgo
La prima cosa da chiarire è un fatto semplicissimo: le emorroidi le abbiamo tutti! Veniamo al mondo con le emorroidi, che non sono altro che piccoli “pacchetti” venosi più o meno evidenti posti al termine del canale anale, che servono a migliorare la sensibilità e la continenza della zona anale.
Rappresentano quindi una normale caratteristica anatomica di tale sede, pur presentando una variabilità individuale che porta alcune persone ad avere nodi emorroidari più o meno voluminosi. A livello dei plessi emorroidari può quindi insorgere un processo patologico che porta a quella che viene definita malattia emorroidaria. E’ una condizione abbastanza diffusa: il 5-10 % della popolazione è affetta da malattia emorroidaria, e l’incidenza aumenta con l’età: sopra i 50 anni, un quadro patologico si riscontra in circa il 40% della popolazione, anche se spesso poco sintomatico o transitorio.
Ci sono alcune condizioni che possono favorire l’insorgenza delle emorroidi?
Si riconosce sicuramente una predisposizione individuale, ereditaria. Quello che si eredita in realtà è il tipo di tessuto connettivo che fa da sostegno alle emorroidi: sotto determinate condizioni di stress, in alcuni individui questo tessuto cede più facilmente e può dar luogo ad un prolasso più evidente.
Fattori predisponenti l’insorgenza della patologia sono invece:
- le condizioni di stasi circolatoria a livello del piccolo bacino, con la conseguente congestione dei plessi venosi.
l’ alimentazione povera di fibre e le condizioni di stipsi cronica, con necessità di spinta prolungata
l’abitudine di passare lungo tempo seduti sul water a leggere.
le gravidanze
alcune abitudini alimentari (cibi speziati – pepe – alcolici…)
Si può convivere con le emorroidi?
Vista la diffusione del problema emorroidario, e la quantità di patologie che si manifestano con sintomi a livello anale, sono stati proposti – e provati – i più disparati tentativi per alleviare il fastidio ed il dolore.
Ancora oggi, alcuni rimedi della medicina popolare vengono utilizzati, con risultati più o meno validi. Essenzialmente, una quantità di erbe hanno effetto nel ridurre edema, tumefazione e dolore.
I moderni farmaci per la patologia emorroidaria spesso si basano proprio su estratti di erbe, variamente associati e dosati, per ottenere il loro effetto curativo. Molte Case Farmaceutiche sono attive nel proporre preparati locali e sistemici, in compresse, bustine, fiale, che effettivamente aiutano nel risolvere i problemi acuti.
Il trattamento conservativo della patologia emorroidaria si basa su alcuni cardini universalmente riconosciuti:
Non esiste un trattamento medico o conservativo per trattare un’ernia inguinale: il trattamento richiede sempre un intervento chirurgico. Attualmente, con l’utilizzo delle protesi (mesh – reti in materiale non assorbibile), l’intervento tradizionale avviene senza necessità di eseguire suture con grande trazione sui piani muscolari. Malgrado tutte le attenzioni, tecnicamente l’intervento di ernioplastica prevede comunque che fasce e muscoli vengano separati e che i tessuti vengano in qualche maniera traumatizzati durante l’intervento chirurgico. La rete poi costituisce un materiale estraneo all’organismo, che richiede tempo per essere inglobata nel tessuto cicatriziale ed integrarsi, e tende di per sé a creare un certo grado di infiammazione nelle strutture su cui appoggia. Tutto questo porta all’insorgenza di un certo grado di dolore in sede di intervento, riferibile proprio al rimaneggiamento dei tessuti.
L’intervento, eseguito normalmente secondo la tecnica di Trabucco e di Lichtenstein, è ancora oggi attualissimo e rappresenta lo standard di trattamento dell’ernia inguinale.
Nell’anestesia locale /locoregionale si associano anestetici locali a durata d’azione breve e lunga, per dare una copertura anestetica che insorge rapidamente e si protrae per alcune ore. L’iniezione di soluzione anestetica è piuttosto fastidiosa, ed è di grande aiuto la contemporanea somministrazione da parte dell’anestesista di farmaci antidolorifici e sedativi.
Nell’anestesia spinale, invece, si inietta una piccola quantità di liquido anestetico a livello del canale midollare, al fine di bloccare la sensibilità della zona inguinale sede dell’ernia e dell’arto corrispondente.
Al passare dell’effetto anestetico i tessuti restano ovviamente ancora infiammati dal recente trauma chirurgico, con attivazione dei terminali dolorifici che causa un certo grado di dolore postoperatorio.
In questi casi, che corrispondono ad un decorso regolare, è sufficiente l’assunzione di un antidolorifico quale Ibuprofene, Ketoprofene o Paracetamolo (eventualmente associato a codeina) per risolvere il problema in pochi giorni. L’assunzione dei farmaci è importante non solo per togliere il sintomo dolore, ma proprio per far regredire in fretta l’infiammazione, causa del dolore. E’ importante assumere i farmaci all’ orario prestabilito, e non solo quando il dolore è già insorto e diventa importante, perché la risposta in questo caso è minore e più lenta: è quindi assolutamente inutile e dannoso cercare di resistere al dolore senza assumere la terapia prescritta.
Le sintomatologia dolorosa può però anche dipendere dal possibile danno dei nervi che decorrono nella zona inguinale: il nervo ileoinguinale ed il nervo genitofemorale decorrono inevitabilmente nel campo operatorio.
Il nervo ileoinguinale, in particolare, decorre in posizione sottofasciale proprio in lungo il decorso del funicolo spermatico, ed è responsabile della sensibilità della zona cutanea dell’inguine, radice della coscia e radice dello scroto. Questo nervo durante l’intervento viene necessariamente isolato, spostato e riposizionato per permettere l’esecuzione della plastica erniaria.
In queste manovre si può stirare o ledere accidentalmente, dando origine con una certa frequenza ad alterazioni della sensibilità nella zona suddetta: di solito si crea una zona di minor sensibilità (ipoestesia localizzata), che col tempo tende a regredire. A volte può però rimanere una zona di minor sensibilità al tatto.
Un problema più fastidioso si crea quando il nervo rimane intrappolato nel tessuto cicatriziale a ridosso della rete. Questa situazione non è purtroppo controllabile, in quanto si verifica dopo l’intervento, e può dare origine ad una irritazione delle fibre nervose, con insorgenza di dolore postoperatorio di tipo nevralgico, urente e spesso causato o esacerbato dall’attività fisica protratta o da movimenti bruschi che interessano la parete addominale.
Gli antiinfiammatori/antidolorifici sono fondamentali per risolvere il problema, e vanno assunti per periodi di diversi giorni.
Malgrado ciò, nei casi più seri può essere necessario ricorrere ad infiltrazioni locali di farmaci (anestetici locali, cortisonici, antiinfiammatori), con necessità di diverse sedute per ridurre l’infiammazione ed lo stimolo nevralgico.
In casi estremamente rari, quando il dolore di tipo nevralgico non recede dopo mesi di trattamento, può essere necessario ricorrere ad un secondo intervento per andare a cercare il punto di stiramento del nervo. Poiché la rimozione della rete porterebbe alla recidiva dell’ernia, quasi sempre in questi casi si deve sezionare il nervo, in quanto la iposensibilità che ne consegue è di gran lunga preferibile alla nevralgia.
Il secondo punto importante dopo l’intervento di ernioplastica consiste nella ripresa dell’attività fisica.
Questa deve essere graduale, inizialmente con camminata leggera, evitando gli sforzi sui muscoli addominali (torsioni, sollevamento di pesi…). Nei primi giorni dopo l’intervento la reazione cicatriziale fissa in maniera definitiva la rete ai tessuti, creando i presupposti per la buona tenuta della plastica.
Poiché i movimenti, soprattutto a livello della parete addominale, aumentano lo stimolo sulla zona operata, l’utilizzo di un tutore elastico può essere d’aiuto nel ridurre la tensione in questa zona, dando un sostegno all muscolatura e minor stimolo sulla parte operata.
Un’attività più intensa si può riprendere dopo 15 giorni, quando il tessuto cicatriziale inizia a stabilizzarsi fissando correttamente la protesi. E’ consigliabile iniziare con camminata più intensa, ciclette o nuoto, sempre evitando di far lavorare gli addominali.
Dopo un mese si può passare ad un’attività sportiva più intensa, introducendo gradualmente lo sforzo sulla parete addominale.
Con tutto questo, l’intervento di ernioplastica tradizionale resta pur sempre un ottimo modo per risolvere il problema dell’ernia.
Bisogna solo mettere in conto che l’intervento indolore non esiste, in quanto i tessuti che vengono tagliati e ricuciti per forza ne risentono e lo stimolo infiammatorio su di essi è sempre presente dopo un intervento.
Il dolore postoperatorio è una realtà che esiste, e può essere più o meno importante e fastidioso.
Nella stragrande maggioranza dei casi, si può affrontare e risolvere con una terapia adeguata, che però richiede a volte tempo per essere efficace.
E’ sempre importante segnalare al medico i problemi postoperatori e non sottovalutarli: il trattamento precoce evita spesso il protrarsi ed il peggioramento del problema, ed una terapia adeguata nei tempi giusti può evitare di dover poi ricorrere a trattamenti più invasivi e prolungati. Un errore frequente è infatti proprio quello di assumere i farmaci prescritti per poco tempo o a dosaggi ridotti: cercare di non prendere farmaci e resistere al dolore porta inevitabilmente al peggioramento clinico, al cronicizzarsi dell’infiammazione ed alla necessità di trattamenti più lunghi e impegnativi.
Dott. Stefano Enrico
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Immagine copyright depositphotos\diy13@yaru
La visita proctologica non è sicuramente tra i momenti più gradevoli da affrontare, ma viene spesso vissuta con più timore di quanto in realtà meriti. La patologia anorettale è sovente dolorosa di per sé: l’imbarazzo ed il timore di avere male durante la visita possono portare a ritardare la diagnosi in diversi casi, spesso in realtà facilmente risolvibili senza particolare trauma o disturbo.
Per arrivare alla corretta diagnosi di una patologia proctologica, i tempi fondamentali sono:
- La raccolta delle informazioni (anamnesi):
E’ importante indagare su molti aspetti piuttosto “intimi” della vita del paziente, apparentemente anche poco relazionabili al problema per cui in paziente si presenta alla visita.
Si dovrà indagare su fattori ereditari e familiari, malattie pregresse ed associate, abitudini fisiologiche ed infine occorre una descrizione accurata dei sintomi che protano il paziente alla visita. - La visita (manuale e strumentale), che comprende
- L’esame obiettivo del paziente
- L’esplorazione anale / rettale e, se necessaria, vaginale, al fine di valutare col tatto la presenza di elementi patologici ed il funzionamento dei muscoli perineali.
- L’anorettoscopia con strumento rigido monouso, che permette di vedere effettivamente le lesioni del canale anale e del retto.
L’esame con lo strumento rigido permette di valutare bene gli ultimi 12-15 cm dell’intestino, arrivando spesso a vedere la mucosa fino a 20 -25 cm dall’orifizio anale.
E’ importante che il paziente esegua quindi una piccola preparazione intestinale circa 2 ore prima dell’esame, che consiste nell’esecuzione di una piccola rettoclisi (una peretta di pulizia da circa 100 ml, facilmente reperibile in farmacia).
- Esami strumentali più complessi possono essere necessari in caso di presenza o di sospetto di particolari patologie
- La colonscopia può essere necessaria per vedere il colon a monte del tratto esplorabile durante la visita.
E’ sicuramente un esame più complesso ed invasivo, condotto con una strumento flessibile, che permette di osservare tutta la mucosa del colon fino al piccolo intestino. Viene condotto in un secondo tempo rispetto alla visita, con lo strumentario specifico, e previa una preparazione accurata del colon. Durante l’esame è possibile effettuare delle biopsie su eventuali lesioni, nonché asportare eventuali polipi, ovvero formazione tumorali di piccole dimensioni. - L’ecografia andoanale/endorettale viene effettuata con una sonda particolare, che permette di ricostruire un’immagine tridimensionale dei tessuti perianali e perirettali.
Anche qui è necessaria la piccola preparazione locale come già spiegato.
L’esame permette di vedere e valutare l’estensione di eventuali danni muscolari, di ascessi o fistole anali e, in caso di tumori, l’estensione e la profondità della neoplasia. - La manovolumetria anorettale è un esame fondamentale nello studio della patologia funzionale del retto, del canale anale e del perineo. Il funzionamento dei vari gruppi muscolari può essere valutato tramite l’introduzione di un piccolo catetere a palloncino, che rileva le variazioni di pressione e quindi il lavoro eseguito dai vari muscoli che compongono la zona perineale. L’esame è assolutamente indolore, e richiede circa 20 minuti di tempo.
- La Rx defecografia è un esame ormai non particolarmente utilizzato. Previa l’introduzione di un clistere con mezzo di contrasto, serve a studiare il funzionamento dei vari gruppi muscolari durante la defecazione.
- La RMN funzionale del pavimento pelvico ha ormai soppiantato il precedente.
E’ un esame sofisticato, di II livello, che permette di vedere fisicamente i muscoli che compongono il pavimento pelvico. Con le macchine attuali, si riesce a vedere in tempo reale il funzionamento di questi muscoli, indispensabile per la valutazione delle malattie funzionali e della stipsi da defecazione ostruita. Ancora, permette di valutare l’estensione di patologie infettive (ascessi – fistole) o tumorali che interessano retto e canale anale.
- La colonscopia può essere necessaria per vedere il colon a monte del tratto esplorabile durante la visita.