Cosa è il laparocele

Dopo un intervento chirurgico addominale la sede della ferita viene abitualmente suturata per i singoli strati che compongono la parete: dall’interno il peritoneo, poi la fascia muscolare, il sottocute (tessuto adiposo) e la cute. Può succedere che una o più di queste suture non cicatrizzino bene, cedendo in parte o in tutto. Se il cedimento è completo, in tutti gli strati suturati, si parla di “sventramento”: l’intestino esce attraverso la ferita e l’indicazione è ovviamente l’immediato reintervento, con ricostruzione della parete che ha ceduto.

Dalla parte opposta, può accadere che siano cute a sottocute a cedere: si parla allora di deiscenza superficiale della ferita. Questo evento allunga notevolmente il tempo di guarigione, in quanto bisogna effettuare medicazioni quotidiane fino a completa chiusura dei piani interessati.

La maggior parte della tenuta di una sutura avviene però a livello del piano fasciale: quando è questo piano a cedere, per un tratto più o meno esteso, i tessuti superficiali proteggono i visceri dalla fuoriuscita dal cavo addominale, ma rimane una zona di debolezza fasciale paragonabile ad un’ernia, attraverso cui  essi si fanno strada nel piano sottocutaneo. Si parla in questi casi di laparocele.

Cause e fattori predisponenti

Il difetto di cicatrizzazione è legato a diversi fattori.

  • L’infezione del sito chirurgico è il principale fattore predisponente al cedimento di uno o più piani della sutura. Si forma una raccolta di pus solitamente nei piani superficiali, che poi ne provoca la deiscenza. Talvolta può interessare in profondità anche il piano fasciale, causandone il cedimento più o meno esteso.
  • Gli interventi “sporchi” sono quelli a maggior rischio: tutti gli interventi in cui deve essere aperto nel campo operatorio l’intestino sono ad elevato rischio di infezione di ferita. Altra sede frequente, proprio per questo motivo, sono le stomie, ovvero le sedi di abboccamento alla cute di anse intestinali o del colon.
  • Situazioni concomitanti di maggior sensibilità alle infezioni sono poi il diabete e le patologie associate che possono abbassare le difese dell’organismo.
  • L’età avanzata è correlata a processi di cicatrizzazione più lenti, in tessuti di per sé più deboli (il piano fasciale diventa più sottile e di per se meno resistente con l’età)
  • L’obesità è estremamente importante, in quanto il tessuto adiposo fatica a cicatrizzare più degli altri ed è facilmente sede di infezioni chirurgiche.
  • La tecnica chirurgica ed il materiale usato possono essere di per sé causa di laparocele
  • Tutte le  situazioni in cui si ha un forte e prolungato aumento della pressione intraddominale, quali la  gravidanza e le altre situazioni di spinta addominale prolungata (stipsi – tosse cronica – lavoro fisico pesante) sono poi un importante fattore che va a sollecitare i tessuti suturati, potendone causare il cedimento anche dopo tempo dall’intervento.

Sintomi

Una volta che il viscere si fa strada nella porta erniaria di parete, si rende evidente come una tumefazione sottocutanea,  particolarmente visibile nei soggetti magri.

A seconda delle dimensioni della  porta erniaria, possono erniare inizialmente il grasso addominale dell’omento, poi più facilmente le anse del piccolo intestino o il colon trasverso. Oltre alla tumefazione locale, a volte di per sé dolente, quando ernia un’ansa intestinale spesso si associano dolore e disturbi di transito, fino ad un vero e proprio quadro di occlusione intestinale.

Diagnosi

La diagnosi di laparocele è essenzialmente clinica.
L’ecografia è di sicuro aiuto nel differenziare il contenuto dell’ernia, ovvero grasso addominale o ansa intestinale. Fornisce inoltre la possibilità di misurare le dimensioni effettive, a livello della fascia muscolare, della porta erniaria.
Spesso infatti le dimensioni del difetto di parete sono molto più piccole del volume di materiale erniato, ed è importante conoscerle per pianificare l’intervento e scegliere il trattamento più efficace.

Rischi

La presenza di un laparocele comporta sicuramente un fastidio, sia fisico che estetico.

Accade però spesso che questa patologia insorga in soggetti che hanno superato interventi importanti, o che debbano eseguire terapie complementari non rimandabili, a che hanno patologie associate importanti. Sovente il paziente, dopo un intervento,  non ha proprio voglia di essere sottoposto ad un ulteriore trattamento chirurgico. E’ quindi abbastanza frequente che la patologia venga trascurata ed accantonata, il che porta inevitabilmente ad aumento delle dimensione della zona di cedimento.

In caso di soggetti obesi, in cui la tumefazione è meno evidente, la patologia viene sottovalutata e la porta tende ad ingrandirsi, con formazione di ernie voluminose, spesso a contenuto intestinale.

Sono solitamente abbastanza frequenti in caso di grossi laparoceli i disturbi di transito, con vere e proprie crisi occlusive. Inoltre, il viscere erniato può “incastrarsi” fisicamente e non essere più riducibile in addome: il laparocele viene definito appunto non riducibile e diventa importante operare in tempi brevi. Se la parte erniata  è solo il grasso addominale (omento), l’intervento deve essere precoce il più possibile, senza però ancora carattere di urgenza.

Le cose cambiano se ad erniare è un tratto di intestino. In questo caso può essere ostacolato il transito degli alimenti, con un quadro di occlusione intestinale. Il laparocele si definisce allora intasato, e  diventa un’indicazione precisa all’intervento in urgenza. L’addome diventa disteso e dolente, ed il ristagno di materiale intestinale porta in breve a vomito ed impossibilità ad alimentarsi.

Anche nel caso di un laparocele il quadro più grave si ha con lo strozzamento del viscere erniato, ovvero con l’interruzione della circolazione sanguigna. Nel giro di poche ore il tratto di intestino interessato soffre fino ad andare in necrosi e perforarsi. Il quadro è allora dominato dal dolore e dai sintomi di occlusione. L’indicazione all’intervento è decisamente di urgenza, e a volte la sofferenza del viscere porta alla necessità di aprire l’addome e fare una resezione del tratto interessato. A questo si unisce poi la difficoltà di dover richiudere una parete addominale di per se già danneggiata.

Cure e trattamenti

Non esiste un trattamento medico o conservativo per trattare un laparocele. Il trattamento del laparocele è solo chirurgico.

Il primo problema da affrontare è però la valutazione del paziente nel suo insieme: non tutti i soggetti possono andare incontro ad un intervento di correzione del laparocele, specialmente se questo è di grandi dimensioni.
A parte il problema tecnico del tipo di intervento, la prima cosa da considerare sono le condizioni generali del paziente. Bisogna valutare attentamente le patologie associate, che a volte controindicano di per sé un atto chirurgico. Ancora, l’entità del difetto, la sintomatologia che questo comporta, la probabilità di recidiva più o meno precoce, la compliance del paziente, la presenza di una stomia sono tutti fattori da tenere in considerazione nel programmare un intervento.

Scelta tecnica del tipo di intervento

In caso di porta erniaria piccola, tra 1 e 2 cm di diametro, il trattamento più semplice consiste nell’andare a reperire i bordi fasciali del laparocele, ridurre il grasso o il viscere erniato in addome e provvedere alla chiusura del difetto , solitamente posizionando in sede sottofasciale una rete di materiale non assorbibile, fissata alla fascia e poi ricoperta da essa, al fine di garantire un migliore tenuta della sutura.
In questi casi l’intervento viene solitamente in anestesia locale o spinale, in regime di Day Hospital

La situazione cambia, e molto, quando le dimensioni del difetto diventano più importanti (diametro sopra i 5 cm). Spesso , per arrivare a lavorare su tessuti sani e posizionare corretamente la rete, è necessario eseguire l’intervento in anestesia generale. Assai  frequente è in questi casi l’apertura del cavo addominale, e può essere necessario liberare i visceri erniati dalle aderenze cicatriziali che si formano tra di loro e con la parete addominale. A seguire, viene posizionata una rete che, in caso i tessuti non siano più avvicinabili tanto da permetterne la sutura diretta, dovrà fare da vera e propria parete addominale ed essere quindi di materiale adatto ad andare a contatto con le anse intestinali.

La laparoscopia può essere di grande aiuto nel trattamento dei laparoceli di misura superiore ai 2-3 cm, anche se diventa non indicata in caso di lesioni molto grandi.
Per via laparoscopica, in anestesia generale e una volta dilatato il cavo addominale con il pneumoperitoneo, si arriva d avere una buona visione dall’interno del difetto di parete. Le aderenze vengono facilmente eliminate e la parte erniata viene ridotta alla sua posizione originale in addome.
Viene poi posizionata dall’interno una rete particolare, adatta ad entrare in contatto con le anse intestinali, che va a chiudere la porta erniaria in maniera adeguata.
Tale rete viene fissata ai margini del difetto con due linee di piccole clip assorbibili (tacks), che la fissano correttamente impedendo ai visceri di fuoriuscire. Sarà poi la cicatrizzazione dei tessuti a chiudere definitivamente la porta erniaria.

La ripresa dell’attività fisica di tutti i giorni è solitamente rapida, anche se l’attività sportiva o il lavoro pesante richiedono almeno un mese di convalescenza prima di poter essere ripresi.

E’ importante dopo l’intervento, sia “open” che laparoscopico, indossare correttamente per almeno un mese una fascia elastica che comprima la sede dell’ernia e dia sostegno ai muscoli addominali.

Dott. Stefano Enrico

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